I giovani giapponesi sono troppo esagitati. Per disciplinarli viene emanato il Battle Royale Act: ogni anno una scolaresca viene estratta a sorte e catapultata su un'isola deserta. Sorvegliati dal prof. Takeshi e da un nucleo militare, gli studenti si giocano la "battaglia reale": ognuno riceve un'arma diversa, che sia un bazooka o una pinza per le ciglia, e si dà alla macchia. Scopo del gioco: eliminare tutti gli altri entro tre giorni. Regole: nessuna.

Un'esperienza. Inland Empire di David Lynch non è un film organico, lineare, comprensibile, con un inizio e una fine definibili tali, ma è innanzitutto un'esperienza sensoriale. Un flusso di pensiero libero di un artista, che non richiede spiegazioni, ma solamente intuizioni, emozioni personali, positive o negative che siano. Si potrebbe parlare di mondi paralleli, di realtà e finzione che si fondono, si incontrano, si abbandonano, di cinema e televisione (e di pellicola e digitale), del concetto del Tempo, non sequenziale, "random" e assoluto.

La psicologa Catherine Deane (Jennifer Lopez) intraprende un viaggio terrificante nella mente di un serial killer (Vincent D'Onofrio) che entra in coma del ritrovamento della sua ultima vittima. Catherine ricorrere ad una cura sperimentale per scoprire i segreti dell'assassino prima che sia troppo tardi. La mente del killer si rivela più pericolosa di quanto si potesse immaginare; la vita di Catherine è in pericolo, l'agente dell'FBI Peter Novak (Vince Vaughn) ha il compito di salvarla dal mondo contorto in cui è imprigionata.