Un taxi attraversa le strade di Teheran in un giorno qualsiasi. Passeggeri di diversa estrazione sociale salgono e scendono dalla vettura. Alla guida non c'è un conducente qualsiasi ma Jafar Panahi stesso impegnato a girare un altro film 'proibito'. Panahi è stato condannato dalla 'giustizia' iraniana a 20 anni di proibizione di girare film, scrivere sceneggiature e rilasciare interviste, pena la detenzione per sei anni. Ma non c'è sentenza che possa impedire ad un artista di essere se stesso ed ecco allora che il regista ha deciso di continuare a sfidare il divieto e ancora una volta ci propone un'opera destinata a rimanere quale testimonianza di un cinema che si fa militante proprio perché non fa proclami ma mostra la quotidianità del vivere in un Paese in cui le contraddizioni si fanno sempre più stridenti.

Testimone a Roma di un efferato delitto, tassista romano si rifugia a New York dove ha un figlio ingegnere e disoccupato. Braccato dalla mafia, si sposta a Miami, fingendosi profugo cubano. Sconfiggerà la mafia. 175° film di A. Sordi, da mettere in classifica negli ultimi trenta posti. Il suo difetto capitale è di non essere un film. Turistico, prolisso, senza fiato. Pochi momenti divertenti.

Johnny (Paul Dillon), taxista di Chicago, durante le sue 14 ore di una giornata lavorativa invernale accoglie nella sua vettura quasi due dozzine di passeggeri da accompagnare ovunque essi desiderino. Tra i clienti, vi sono anche una giovane vittima di stupro, un corriere della droga, una donna incinta e una coppia di vacanzieri. Frustrato per non poter essere loro d'aiuto e per i rapporti fugaci mai approfonditi, dallo specchietto retrovisore Johnny ha modo di osservare un micro spaccato dell'umanità che lo circonda.